martedì 4 marzo 2014

MIAO Si gira: chi ha visto il gatto?

Non sempre il gatto è protagonista assoluto di film, ma quando compare ruba la scena! Lo dimostra il clamoroso successo di mici che in alcuni film compaio fuggevolmente restando però impressi nella memoria del pubblico, come testimonia il gatto senza nome che viene coccolato sotto la pioggia da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany (1961), guadagnandosi perfino l’onore del manifesto accoccolato sulla spalla dell’attrice!


 E che dire dell’antipaticissimo Sfigatto di Ti presento i miei (2000), che è finito per diventare una vera e propria star con tanto di pagine face book dedicate.



E chi non ricorda che in fondo, alla fin fine, è proprio un gatto ad aiutare Sigourney Weaver a mettere fuori uso il terribile mostro alieno in Alien (1979), capolavoro di Ridley Scott?


Si torna ai classici senza tempo con Una strega in paradiso (1958), dove troviamo il micio Pyewacket (in italiano Cagliostro) a fianco della bellissima Kim Novak. Da sempre, come testimoniano i molti detti popolari sui gatti, questi animali enigmatici finiscono per diventare metafora di comportamenti ambigui, di movenze seducenti e atteggiamenti opportunisti. Ciò vale anche per il cinema, che per i suoi titoli è spesso ricorso al gatto come metafora per riassumere i tratti più caratteristici delle sue storie e dei suoi protagonisti. Esempi? Uno per tutti La gatta sul tetto che scotta (1958), metafora efficacissima che Tennessee Williams usa per descrivere la condizione precaria (come una gatta su un tetto rovente costretta a buttarsi nel vuoto per non scottarsi le zampe) di una donna messa in disparte dalla famiglia del marito per non averlo reso padre. E ancora film in cui il gatto compare solo nel titolo come La gatta (1958) di Henri Decoin. Il gatto a nove code del maestro del brivido italiano Dario Argento (1971). Oppure gatti che non ci sono né nel titolo né nel film ma che hanno stuzzicato l’immaginazione dei cartellonisti, come avvenne nel caso di Caccia al ladro (1955) di Hitchcock, sul cui manifesto italiano comparve un gatto nero simboleggiante l’arte furtiva del protagonista.


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